Beati “i pacificatori”

“Beati gli operatori di pace” è il titolo del Messaggio di papa Benedetto XVI per la 46° Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1° gennaio 2013, un messaggio che guarda anche al 50° anniversario del Concilio Vaticano II e dell’enciclica di Papa Giovanni XXIII, Pacem in terris, secondo il quale primato spetta sempre alla dignità umana e alla sua libertà, per l’edificazione di una città al servizio di ogni uomo, senza discriminazioni alcune, e volta al bene comune sul quale si fonda la giustizia e la vera pace. Leggendo il testo delle Beatitudini, capiamo che il Regno dei cieli è promesso ai misericordiosi come misericordia, ai puri di cuore come visione, agli operatori di pace come filiazione divina: “Beati gli operatori di pace (letteralmente “Beati i pacificatori”) perché saranno chiamati Figli di Dio” (Mt 5,9). Gesù non proclama beati “i pacifici”, ma i pacificatori, i costruttori di pace. Qual è la differenza? Il pacifico è una qualità dell’individuo, è colui che tiene tanto alla sua pace che evita accuratamente ogni situazione di conflitto. Il pacificatore è un individuo che per la pace degli altri, crea situazioni conflittuali: i costruttori di pace sono dei gran “rompiscatole”, perché per la pace degli altri sono pronti a perdere la propria. La parola “pace” (dall’ebraico shalom), inoltre, significa tutto quello che concorre alla piena felicità degli uomini. Gesù ci invita alla pienezza della felicità qui ed ora. E’ volontà di Dio, infatti, che su questa terra si realizzi la felicità! Non c’è da rimpiangere un paradiso perduto, ma da rimboccarci le maniche per realizzare il paradiso nel “luogo” in cui viviamo. Ecco perché Paolo nella lettera ai Romani ha un grido: “l’umanità, la creazione geme nell’attesa che diventiate figli di Dio”.

Dio ci chiama a diventare collaboratori della sua creazione: questo significa essere costruttori di pace! Ecco perché in questa beatitudine c’è l’equivalente: perché questi saranno chiamati figli di Dio. “Figli di Dio” nel mondo ebraico ha due significati: il primo di “assomigliante” (figlio di Dio significa che assomiglia a Dio), il secondo di “protezione” da parte di Dio. Ebbene Gesù assicura: quelli che costruiscono la pace, cioè quelli che lavorano per la felicità, per la dignità e la libertà degli uomini, sono “beati” perché prima di tutto assomigliano a Dio. E se assomigliano a Dio significa che fanno lo stesso “lavoro” di Dio. Essi poi sono beati perché avranno Dio dalla parte loro. Dio sta dalla parte non di chi toglie la felicità, ma di chi la costruisce, non di chi toglie la dignità, ma di chi restituisce la dignità agli uomini. Quando l’apostolo Paolo ci dice che noi siamo stati scelti per essere “figli adottivi” di Dio (cfr. Rm 8,12-17) pensiamo all’adozione come gesto d’amore con il quale si prende un bambino nel seno di una famiglia; ma a quell’epoca quando un re o un imperatore vedeva la sua vita ormai alla fine, non lasciava il suo regno e il suo impero ad un figlio naturale, scegliendo tra i propri generali ed ufficiali la persona che gli sembrava più adatta, la più capace di continuare come lui il suo impero, e lo adottava come figlio. È questa l’adozione a figli, cioè un Dio talmente innamorato degli uomini, un Dio che ha talmente stima di noi che ci chiede di essere suoi figli adottivi, cioè di collaborare con Lui e come Lui alla creazione del mondo, alla costruzione della pace e della felicità di tutti e di ciascuno.

È inevitabile, allora, che per costruire la pace, per lavorare per favorire la vita degli oppressi, bisogna disturbare un po’ la vita degli oppressori. Chi lavora per la pace non può estraniarsi dalla storia del proprio tempo, ma, con lo sforzo tipico dell’operaio, deve misurarsi con le grandi questioni e con l’ordinarietà e la fatica dell’impegno quotidiano. Per questo nell’operatore di pace c’è sempre la ricerca faticosa del “metodo” più appropriato, nella consapevolezza che non si troverà di fronte ad una risposta definitiva, perché il metodo può essere superato, nel dipanarsi della storia, da una sintesi più alta. “La pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo, che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio,… ha ucciso nella sua carne l’odio e, dopo il trionfo della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini” (GS 78).

Il Concilio Vaticano II ricorda cosi che non si può essere autentici facitori di pace, senza sacrificio personale. Come Cristo si è immolato per riconciliare gli uomini col Padre, per distruggere l’odio, per donare ai credenti lo Spirito di amore, cosi il cristiano deve essere costruttore di pace pagando di persona. Il discepolo di Gesù non può aspettare che siano gli altri a fare la pace e tanto meno può esigere che la pace sia fatta a spese altrui, ma deve prenderne l’iniziativa spianando ai fratelli la strada, rinunciando in loro favore ai suoi interessi e anche ai suoi diritti personali quando questi ostacolano, urtano o intralciano quelli altrui. Chi di fronte ad un ambiente, ad una comunità o alla società in lotta, si chiude nel proprio guscio, lasciando che gli altri contendano tra loro e accontentandosi di sperare che qualcuno li metta finalmente in pace, non è pacifico, ma egoista. Oggi, in ogni ambiente, il mondo ha più che mai bisogno di questi pacifici figli di Dio, instancabili seminatori di pace. Fin d’ora essi sono beati, ma lo saranno immensamente di più quando il Padre celeste, riconoscendo in loro l’immagine del suo Unigenito, li chiamerà suoi figli e li accoglierà nel suo Regno.

Margherita Marchese